Restare
Sono a letto, mi sveglio di soprassalto per le grida di mia madre, le sento provenire dalla cucina.
«Fedora, la colazione è pronta! Farai tardi» mi dice mentre si avvicina alla mia stanza.
«Arrivo mamma» le rispondo, e mi giro dall’altra parte del letto.
Non passa nemmeno un minuto, e sento una mano tirarmi via la coperta di dosso. Sono in posizione fetale e sento freddo. “Maledizione” penso, odio profondamente questa cosa. All’improvviso arriva la luce dei raggi del sole dritti negli occhi. Con un occhio mezzo aperto vedo mia mamma che con violenza sta tirando su la tapparella della finestra.
«Alzati!» mi urla.
Amo gli imperativi minacciosi di mia mamma. Così mi alzo lentamente dal letto, resto seduta qualche secondo, mi stiracchio e mentre mi strofino gli occhi, guardo fuori dalla finestra: il cielo è sereno, fa ancora caldo, c’è un sole mite che illumina questa giornata di metà settembre. Guardo la sveglia sul comodino, sono le 7,30. Oggi è il mio primo giorno di scuola. Inizio la seconda media. Sento un po’ di agitazione, devo andare un po’ prima perché devo scegliere il banco, e se faccio tardi mi toccherà stare al primo banco, di fronte al professore. Mi alzo e inizio a vestirmi, ieri sera ho già scelto cosa mettere: il mio jeans hip hop e la maglietta viola con il termometro sul petto. Mi piace tantissimo questa maglietta, perché il termometro ha del liquido all’interno che si sposta mentre cammino o mi muovo. Vado in cucina, vedo la tazza di Homer Simpson ad attendermi sul tavolo con il mio latte e Nesquik, e mio fratello Giuseppe che ha quasi finito la sua colazione. Accendo la televisione, per vedere su Italia 1 i cartoni animati, ma mentre provo a cambiare canale, vedo lo schermo della tv diventare nero, mia mamma è già andata tempestivamente a spegnarla.
«Ah, pure i cartoni? Hai deciso proprio di fare tardi a scuola? Bevi velocemente il tuo latte e fila a lavarti i denti. Hai fatto la cartella ieri sera?» mi chiede con tono severo, mentre scorge dal tavolo il mio outfit.
«Si mamma» le rispondo, mentre inzuppo i miei “Rigoli” nel latte.
«Questa maglietta è troppo corta. Hai la pancia di fuori, cambiatela altrimenti i professori ti rimprovereranno»
«Non ho la pancia di fuori, voglio mettere questa maglietta oggi, è il primo giorno. Domani non la metto più» le rispondo decisa. Ci scambiamo qualche sguardo di sfida. Non intendo cedere questa volta, voglio vestirmi come dico io. Dopo qualche secondo di silenzio, mi dice: «Va bene».
Mi defilo velocemente prima che cambi idea. Vado in bagno ma, come sempre, è occupato. Ogni mattina è una gara a chi arriva prima tra me, i miei fratelli e mio padre che deve andare a lavoro.
Busso insistentemente alla porta, urlando: «Giusè esci! Farò tardi a scuola»
«Un attimo, stai calma. Manco dovessi andare al festival di Sanremo. Ti ricordo che fai ancora la seconda media, quando arriverai al Liceo che farai?» mi dice con sufficienza, uscendo dal bagno.
«Non fare troppo l’uomo vissuto. Ti ricordo che ci passiamo solo quattro anni», gli do una gomitata ed entro in bagno chiudendo la porta a chiave.
Mi guardo allo specchio: ho i capelli crespi, tutti arruffati. Odio questi capelli senza forma, cerco di sistemarli in qualche modo e mi lavo i denti. Torno in cameretta, prendo il mio zaino Seven e la giacca di Jeans dall’attaccapanni.
Mia mamma urla ancora: «la giacca. Ancora prendi freddo». Non avevo dubbi l’avrebbe detto.
«L’ho presa mamma. Scendo. Ciao, ci vediamo a pranzo.»
«Cosa ti preparo da mangiare per pranzo?» mi chiede
«Mamma non lo so. Quello che vuoi. Ciao.» le rispondo mentre mi chiudo la porta alle spalle.
Sono in ritardo, come sempre. Mentre accelero il passo mi rendo conto di come avere la scuola accanto a casa, fa sì che mi crogioli a letto ogni volta.
Arrivo a scuola, e c’è una fiumana di ragazzi che salgono le scale. Molti genitori hanno accompagnato i propri figli che oggi iniziano la prima media, salutandoli con vari incoraggiamenti. C’è una coda interminabile di macchine parcheggiate a bordo della strada. Salgo gli scalini due alla volta, e intravedo Leonardo – il collaboratore scolastico – dietro la sua scrivania, anche quest’anno la sua posizione non è cambiata.
«Ciao Leo» gli sorrido mentre con le mani mi sorreggo lo zaino.
Abbassa lo sguardo e mi scruta da sopra i suoi occhiali rettangolari, abbassando il giornale. «Oh, ciao ciao bella. Buon inizio anno scolastico» mi dice con il suo sorriso sdentato.
Arrivo in aula per fortuna in orario, vedo il mio terzo banco, fila laterale e mi ci fiondo. Sistemo la cartella dietro la sedia, mi guardo intorno perché cerco Francesca, l’anno scorso ci siamo sedute insieme. Strano ancora non sia arrivata. Eccola lì, in piedi che parla con la nostra amica di classe Michela, le saluto con la mano da lontano. Dopo poco, si avvicina e mi dice: «Ciao Fedo, quest’anno mi siedo insieme a Michela, va bene?»
«Ah ok» le rispondo sorpresa, mentre la vedo andare via, per sedersi nel suo “nuovo” banco. Ci resto male, ma non dico nemmeno una parola.
«Ragazzi, prendete posto che iniziamo l’appello» ci dice la professoressa, una donna minuta sulla cinquantina. Quest’anno ha i capelli corti, rosso fuoco, più accesi del solito. Silenziosamente mi siedo nel mio banco, dispiaciuta. Fisso il posto vuoto accanto a me. Rompe quel silenzio l’ingresso in aula della mia compagna di classe, Lucia. Spalanca la porta, ha lo zaino solo su una spalla, il jeans a zampa e una maglietta fucsia con tanti numeri glitterati, i capelli come lunghi spaghetti di seta.
«Scusi per il ritardo Professoressa. A mio padre si è rotta la macchina per strada.» dice con il fiato corto, mentre si dirige anche lei verso il suo solito posto.
«Certo, ogni volta si rompe l’auto. Quest’anno abbiamo iniziato già dal primo giorno con le scuse. Dai Lucia. Quest’anno siediti vicino a Fedora» le dice interrompendo la sua marcia.
Entrambe siamo sorprese da quella affermazione, perché l’anno scorso non abbiamo fatto molto amicizia. Lucia obbedisce e viene a sedersi accanto a me. La scruto mentre sistema il suo zaino, è cosi magra e ha gli occhi scuri e vispi. Gli occhi di chi ne ha viste già tante ma non si arrende. Si siede e le dico sottovoce: «ciao». Lei timidamente mi sorride.
Abbiamo riso e parlato tutta la mattinata, nascondendoci dietro le teste dei nostri compagni per non farci rimproverare dai professori. La tristezza e la delusione iniziale hanno lasciato il posto alla sorpresa e alla felicità. Eccola lì, per caso: la mia prima amica. Per sempre.
Sono trascorsi 22 anni da quell’incontro, voluto da una professoressa che credo fosse mascherata da Destino. Io e Lucia siamo ancora amiche, ma non è stato facile crescere insieme. Come in tutti i rapporti, nel tempo siamo cambiate, tante volte siamo state lontane, spesso non siamo state d’accordo sulle scelte dell’altra, ma siamo sempre rimaste. Se c’è una cosa che mi ha insegnato in tutti questi anni, di sicuro è stato: Restare. Lei c’è stata quando a 17 anni il mio primo fidanzato mi ha spezzato il cuore e ho creduto che la mia vita fosse finita, c’era quando è morto mio padre, quando mi sono laureata e insieme a lei sono stata disoccupata per diverso tempo. In tutti i momenti felici, durante i viaggi per l’Italia e per l’Europa, ma sopratutto mi ha accompagnata nel viaggio più importante che è quello della vita. In ogni tappa, ogni fallimento, in ogni traguardo e in ogni sconfitta mi sono voltata a cercarla, e lei c’era.
A volte l’ho sentita severa nei miei confronti, spesso mi ha tirato schiaffoni morali di cui porto ancora il segno, ma mi sono serviti. Ora che sono adulta, mi rendo conto di come averla incontrata abbia migliorato la mia vita. Nell’ultimo anno mi sono interrogata sugli incontri importanti della mia esistenza, e di come sarebbe stato diverso il mio percorso senza alcune persone. Lei sicuramente è una di queste persone perché è stata in grado di cambiare molti miei punti di vista. Sono stata fortunata ad incontrarla, di sicuro è stato uno dei regali che mi ha fatto la vita. Quando la guardo, ancora oggi, vedo quelle due ragazzine sedute al terzo banco che riescono a ridere di niente. Un giorno sentendo un monologo sull’amicizia della straordinaria Michela Murgia, io ho pensato a lei:
“Gli amici che ti fai quando hai 13 – 14 anni hanno una qualità. Hanno una specialità che poi nella vita sarà irripetibile. Avrai altre amicizie, anche molto qualificate, ma qualcuno che ti fosse testimone quando potevi ancora essere tutto, quello non si ripete. Le amicizie pluridecennali sono un bene raro che va molto mantenuto, perché sono fatte dell’unica cosa che non si può ripetere: Il tempo. Sono quelle che costudiscono il ricordo della ragazza che eri, che conoscono la fatica che hai fatto per essere la donna che sei. Che ricordano l’entusiasmo che avevi e quello che è rimasto. Gli errori da cui ti sei salvata e quelli dai quali ti hanno salvata loro. Non sono solo amici, sono testimoni e complici. E nel tribunale ostile che è a volte la vita, guai a non averne.”
Alla mia amica di vita,
a tutto quello che abbiamo condiviso,
alle cose che sappiamo solo io e lei.
Ai nostri viaggi e a tutti quelli che verranno,
Grazie.
3 commenti
Francesca Sponcichetti
♥️♥️♥️♥️♥️
Lucia
Ti voglio bene ♥️
Rita
Cuorelli… Siete meravigliose❤️❤️