Pensieri ed Emozioni

Riparare o lasciare andare?

Nei giorni scorsi, il mio montalatte elettrico si è rotto, o per meglio dire: non girava più la frusta che montava il latte ma continuava a scaldare. Non mi sono allarmata più di tanto perché ero convintissima di poterlo aggiustare.

Quel montalatte è stato il primo regalo che ho fatto a Paolo – non vivevamo ancora insieme – ricordo bene il giorno che è venuto a casa mia ed ha notato con entusiasmo la schiuma del mio cappuccino, così io gli ho mostrato felice il mio montalatte. Da lì l’idea di regalarglielo per casa sua. Ho scelto con cura il colore azzurro, perché il blu è il suo colore preferito ma anche perché si abbinava con gli arredamenti del suo appartamento.

I giorni a seguire ho cercato su internet vari centri di assistenza per elettrodomestici per farlo riparare, e alla fine ne ho trovati tre vicino casa. Un giorno che ero di riposo, ho riposto il montalatte nella sua scatola e mi sono diretta al primo centro. Quando sono arrivata e ho spiegato il problema, la prima domanda che mi ha posto il signore che mi ha ricevuto è stata: «è ancora in garanzia?». In effetti non ci avevo nemmeno pensato però – facendo i conti – mi sono resa conto che erano trascorsi già più di due anni, così gli ho detto di no.

«Allora non c’è niente da fare. Fa prima a comprarne uno nuovo» mi ha risposto l’uomo sulla cinquantina del centro assistenza.

Non mi sono arresa e ho proseguito nel mio intento, così sono andata nel secondo centro di assistenza, e qui ho trovato un ragazzo che si è preso la briga almeno di toglierlo dalla scatola e di dargli uno sguardo, mi ha chiesto quale fosse il problema, così ho spiegato che semplicemente non girava più la frusta che montava il latte, alla fine anche lui mi ha detto: «se non è più in garanzia, non si può sostituire il pezzo».

Alla fine sono arrivata all’ultimo centro di riparazione, un po’ demoralizzata. Qui c’era una signora sui quarant’anni, dal sorriso luminoso. Ho spiegato tutto anche a lei e percependo la mia delusione, in modo gentile, mi ha detto: «se vuole possiamo ripararlo, ma ci vorrebbe tempo e le verrebbe a costare di più di quanto vale nuovo. Conviene che ne compra direttamente uno nuovo. Mi dispiace».

Sono uscita dal negozio con il mio montalatte in mano, dispiaciuta e un po’ incredula. Quando mi sono seduta in auto, sono rimasta qualche secondo a fissarlo sul sedile del passeggero, consapevole che è solo un oggetto eppure sentivo una sorta di delusione mista al dispiacere.

Ho ripensato a come la soluzione di tutti fosse stata semplicemente “Buttalo e comprane uno nuovo”.

Allora mi sono chiesta: «siamo sicuri che non stiamo facendo la stessa cosa con le persone?»

Siamo sicuri che non facciamo lo stesso con i rapporti? Quando una cosa non funziona, la buttiamo via. Quando una persona non è più come vogliamo, la sostituiamo. Non si aggiusta più nulla.

Questo mi ha fatto sentire triste, forse anche un po’ preoccupata perché io sono cresciuta guardando mio padre che compilava ogni giorno il suo foglio dei “servizi da fare”. Così ogni pomeriggio, lo vedevo andare in giro con mia mamma a bordo della sua Opel Zafira per aggiustare qualcosa. Se le forbici non tagliavano si andava dall’arrotino, se l’orologio non funzionava lo portava dall’orologiaio, se il mio cicciobello si era strappato mia mamma lo ricuciva. Se le scarpe si scollavano si portavano dal calzolaio.

Ho visto quel foglio durare anni, per un “servizio” che cancellava, ne segnava altri quattro. Sono cresciuta con quel “pizzino” di appuntamenti e di oggetti da riparare. Ogni tanto si ricordava di cambiare la data e si prendeva in giro da solo, perché diceva: «i servizi non finiscono mai». Lo sentivo ridere di cuore dal soggiorno perché – in fondo – credo che fosse affezionato a quel foglio: era una scusa per fare delle cose insieme a mia mamma. Quando si riempiva e non c’era più posto per scrivere, terminati i servizi e le cose da aggiustare, lo strappava e si ricominciava con un foglio nuovo. Così per tutta la sua vita, fino all’ultimo giorno.

Quando ero piccola ancora non potevo capirlo ma mio padre mi stava insegnando ad aggiustare le cose, a non arrendermi quando qualcosa si rompe.

Questo, negli anni, mi ha portato a fare lo stesso con le persone. Spesso mi sono ritrovata a voler sistemare le cose, a volerle aggiustare in ogni modo, a qualunque costo. Ho sofferto perché sono arrivata tante volte ad esasperare le relazioni e le situazioni. Non sapevo lasciare andare. Forse non so farlo ancora adesso, del tutto.

Viviamo in una società dal consumismo sfrenato, compriamo anche di più di quello che davvero ci serve. Quando qualcosa non ci piace più la sostituiamo e ne compriamo una nuova.

Siamo diventati tutti sostituibili. Ci comportiamo come se fossimo solo dei numeri nel lavoro, nelle amicizie e in amore. Ci trattiamo come facciamo con gli oggetti, quando non funzionano più li buttiamo.

Ma è davvero giusto così?

Quando è giusto buttare piuttosto che aggiustare?

Quando è giusto insistere piuttosto che lasciare andare?

Siamo passati da un estremo ad un altro. Come esseri umani, mi rendo sempre più conto, che non conosciamo la mezza misura. La via di mezzo. Così siamo passati da matrimoni violenti e infelici che duravano per sempre a matrimoni flash di neanche un mese. Siamo passati da fidanzamenti obbligati a non fidanzarci più. Da relazioni chiuse a relazioni aperte. Siamo passati dal bianco al nero.

Sono tornata a casa e Paolo mi ha chiesto: «sei triste perché non sei riuscita a ripararlo?»

Gli ho fatto cenno di si con la testa mentre mi toglievo la giacca.

«Lo sapevo» mi ha risposto sorridendo,

«Io non lo voglio buttare il mio montalatte, perché mi ci sono affezionata» ho risposto un po’ imbronciata,

«Allora non buttarlo»

«Mi sento triste all’idea di vivere in una società che non ha più voglia di aggiustare niente. E che tutti con molta tranquillità mi hanno detto semplicemente di buttarlo» gli ho detto con gli occhi lucidi.

Forse dobbiamo tornare indietro a quando le cose si riparavano con amore. O forse no. Ma quel giorno ho ripensato al “pizzino” di mio padre, a quanta vita e quanto amore c’erano dentro e alla fortuna di essere diventata adulta con chi mi ha mostrato quanto è bello anche aggiustare le cose.

Mia mamma ha conservato con amore gli ultimi fogli dei “servizi da fare” di mio padre, sono tutti stropicciati e spesso mi sono chiesta perché li avesse tenuti. Ora però lo so: sono lì per ricordarmi di dare sempre valore alle cose e alle persone. Ogni tanto sento il bisogno di andarli a rileggere per non dimenticarlo mai.

Per quanto riguarda il mio montalatte invece: è ancora lì, nella sua scatola.

Non sapendo cosa farne, “è diventato parte dell’arredamento”.

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